Beato Tommaso da Celano
4 ottobre
Celano (L’Aquila), 1185/90 - Assisi, 4 ottobre
1260
I. VITA.
Tommaso nato a Celano della Marsica (prov. de l’Aquila) morì nel 1260
ca. Tardive illazioni dalla confusione creata, intorno al 1385, da
Bartolomeo da Pisa nel De Conformitate (Analecta Franc., IV, 530) tra
“custodia” e “provincia” Pennese, indussero in errore alcuni storiografi
dell’Ordine francescano; ad altri suggerirono la distorta conclusione a
favore di Cellino Attanasio nel Teramano o, per una genealogia costruita
dopo il 1590, l’indicazione che fosse figlio di un Vallesio Castiglione
e nato o fattosi frate in Castiglione della Valle. Non è dimostrabile la
congettura che sia uscito dal ceppo dei Signori di Celano e d’Albe,
sostituiti dal 1212 al 1222 dai fratelli d’Innocenzo III, Riccardo Conte
di Sora e Tommaso.
Una notizia autobiografica avverte che fu ricevuto nell’Ordine dal
fondatore reduce dalla Spagna alla Porziuncola, e perciò verso il
1214-1215, tra quidam litterati viri et quidam nobiles (Vita I S.
Francisci, n.57), essendo già, forse, sacerdote o almeno clericus.
Si sa dalla Cronaca di Giordano da Giano che nel Capitolo del 1221 si
offrì volontario per la difficile missione in Germania guidata dal
ministro provinciale Cesario da Spira, e che là fu nel 1222 Custode dei
conventi di Magonza, Worms e Colonia e l’anno dopo vicario di Cesario
disceso in Italia. E’ assai verosimile che fosse presente al transito
del Serafico Padre (3 ottobre 1226) ed alla canonizzazione (16 lugl.
1228); di sicuro nel 1230 in Assisi donò a fra’ Giordano alcune piccole
reliquie del santo.
Sembra di poterlo identificare con “uno dei compagni” dissuaso in
visione da s. Francesco dal darsi alla predicazione (Vita II, n. 195);
pare inoltre che abbia concorso alla fondazione dei conventi di Celano
(1256) e di Tagliacozzo (1223 o 1259) ed alla erezione o passaggio alla
Regola clariana del monastero di S. Maria in S. Giovanni Val dei Varri
(1230-1250 ca.). Ivi nell’ufficio di Cappellano delle Clarisse chiuse i
suoi giorni nel silenzio.
II. SCRITTI.
Tommaso, presentato da frate Elia o direttamente noto per parentela o
clientela alla famiglia dei Conti di Anagni e Segni, ebbe dal card.
Ugolino divenuto papa Gregorio IX (19 marzo 1227) l’incarico di scrivere
la Legenda ufficiale per la canonizzazione di s. Francesco, che egli
presentò al papa in elegante cod. il 25 febb. 1229, onde fu detta
Legenda Gregorii, o Vita prima. Sotto il generalato di fra’ Crescenzio
da Jesi (1244-lugl. 1247) scrisse, su materiale dei Tre Soci, la Vita
seconda, da lui intitolata Memoriale in desiderio animae de gestis et
verbis sanctissimi Patris nostri, e la completò, dopo reiterati inviti
del ministro generale Giovanni da Parma (1247- 1257), con il Tractatus
de miraculis (1250- 1252).
Da questa trilogia dipendono : a) del medesimo autore, la Legenda ad
usum chori (1230); b) di Giuliano da Spira, la Legenda S. Francisci e l’Officium
rythmicum (1230-1235), poiché non è dimostrata la tesi proposta dal p.
Z. Lazzeri, di un inverso rapporto tra i due scrittori. Per molti tratti
anche ad litteram ne è tributaria la Legenda maior di s. Bonaventura
(1263), dopo la quale un’ordinanza del Capitolo di Parigi del 1266
proscrisse le biografie precedenti.
Scarsi suffragi ha raccolto dalla critica moderna l’attribuzione a
Bonaventura della Legenda S. Clarae Virginis, che motivi esterni ed
intrinseci persuadono a mantenere a Tommaso, del cui nucleo ai nn. 18-20
della Vita prima di s. Francesco può considerarsi il promesso sviluppo.
Meno attendibile è l’assegnazione al celanese della biografia Antoniana
Assidua.
Delle operette ritmiche gli è riconosciuta la paternità della sequenza
Sanctitatis nova signa, inneggiante la mistero delle stigmate, che tanto
risalto ha nelle sue opere in prosa. Intorno al Dies Irae si è riaccesa
la discussione nelle celebrazioni centenarie del 1960.
Dopo qualche vivace attacco, a cavaliere dei secc. XIX e XX, alla
sincerità del primo biografo di s. Francesco, la fama di Tommaso si è
consolidata, ed ormai si conviene che non si può più prescindere dai
suoi scritti per trattare dell’assisiate. Le due Vitae, integrandosi
l’un l’altra, rispecchiano non un servile adattamento a direttive di
committenti, ma la sensibilità dell’autore ai “segni dei tempi” mai
scevra, tuttavia, di rimpianto per la robusta impostazione evangelica
data dall’uomo nuovo Francesco (così egli lo chiamò) alla sua prima
compagnia. Letterato di vaglia, seppe dare veste elegante alla sua
esposizione, non trascurando neppure qualche dato cronologico e
riferimenti alla legislazione serafica ed agli scritti del santo, ma
senza pedanteria. Autentico religioso, seppe cogliere i valori ascetici
e mistici del suo eroe, l’inquadramento nella dogmatica, e lo presentò,
assai prima del Pisano, come imitatore di Cristo e come specchio nel
quale i seguaci dovevano mirarsi per ricalcare le vestigia del Maestro
divino e del loro Patriarca (cf. Vita I, n. 90 e Vita II, n. 26).
Con intuito di artista, ma anche di esperto nella ricerca della santità,
fissò gli elementi preponderanti nel suo modello: adorazione al sommo
bene Dio uno e trino, cristocentrismo considerato specialmente riguardo
all’Incarnazione, alla passione, al finalismo glorificatore, culto
eucaristico, devozione mariana, servizio ecclesiale nel rispetto della
gerarchia, e, percorrendo la scuola bonaventuriana, riconobbe e additò
per primo l’iter del semplice, povero, serafico Francesco verso la
Sapienza, ossia, attraverso le creature fraternamente amate l’orazione
ed i rapimenti, fino al riposo della mistica teologia, anche se, vivendo
e scrivendo nella prima metà del sec. XIII, non poteva usare la
metodologia invalsa posteriormente, e nella quale non avrebbe potuto
costringere l’originalità del lirico araldo del Gran Re. Come s.
Francesco, Tommaso sapeva che la contemplazione infusa è un dono, e
l’attività dello spirito nell’esercizio delle virtù cardinali e
teologali è un dovere. Inclinava perciò ad una certa austerità di
vedute, ma con tocchi sicuri delineò le particolari amabili virtù
francescane come la semplicità, la serenità nella povertà e nella
sofferenza, l’umiltà dei “minori” insieme con la cavalleresca liberalità
e cortesia, ed alimentò di forte luce il senso del divino e le
attrattive della carità.
III. FAMA DI SANTITA’ E CULTO.
Vivente, ebbe la stima dei confratelli e della Curia non solo per meriti
letterari: basterebbe pensare allo spontaneo “servizio” missionario, che
allora veniva considerato come il più alto grado dell’obbedienza
religiosa (cf. Regula I, cap. 16 e Reg. II, cap. 12; Vita II, n.152).
Frate Angelo Clareno, tra il 1322 e il 1325, apriva la sua Historia
septem tribulationum così: “Vitam pauperis et humilis viri Dei Francisci…
quator solemnes personae scripserunt, fratres videlicet scientia et
sanctitate praeclari
Johannes et Thomas de Celano, frater Bonaventura… et vir mirae
simplicitatis et sanctitatis frater Leo”.
Più tardi fra’ Mariano da Firenze lo ricordava come “il santo discepolo
di s. Francesco” e beato lo diceva il Tossignano (1586).
Tra gli scrittori esterni all’Ordine minoritico, Muzio Febonio di
Avezzano, abate di Trasacco, scriveva la Vita del B. Tommaso di seguito
alla Vita di S. Berardo cardinale, seguito dal Corsignani celanese, che
lo annoverava in apertura alla serie dei santi della Marsica.
Nel Martirologio Francescano è ricordato al giorno 4 ottobre.
Autori abruzzesi hanno scritto che, correndo voce di prodigi manifestati
presso il sepolcro del b.Tommaso in Val dei Varri, come splendori nella
notte, il popolo si recava a venerarlo. Ai primi del Cinquecento,
abbandonato il monastero delle Clarisse ed incorporati i beni al
convento dei Frati di Tagliacozzo, i cittadini di Scansano si
disponevano a portare i resti venerati nel loro Comune, ma furono
prevenuti da quei frati, che li trafugarono. Lo asserisce il Monitorium
con il quale Giovanni Luchino Arnuzzi, giudice delegato da Leone X, a
richiesta del vescovo dei Marsi, Giacomo, il 17 marzo 1517, citava a
comparire fra’ Domenico ed altri del convento di s. Francesco di
Tagliacozzo per avere di notte trasportato dalla chiesa in Val dei Varri
al loro convento “quoddam sanctum corpus, ut asseritur Beati Thomasii”,
per assicurarsi il concorso di popolo. Questo documento, introvabile al
d’Alençon, ma nel 1968 rintracciato da Giovanni Odorardi e letto da lui
e da chi scrive queste righe, insieme con l’elenco di prodigi avvenuti
al tempo della traslazione, riportato dal Febonio, autentica la fama del
culto popolare, che si rinnova ogni anno in Tagliacozzo il giorno
dell’Indulgenza della Porziuncola (2 agosto) ed in Celano la seconda
domenica di ott. A Tagliacozzo la spoglia del celanese fu collocata
dapprima in un sarcofago di pietra nella chiesa di S. Francesco, dietro
l’altare, nella Cappella ducale; dopo la ricognizione ordinata dal
vescovo dei Marsi Domenico Antonio Brizi (1741-1760), le ossa vennero
raccolte in urna di legno, dal cui vetro anteriore era visibile il
teschio, coperto di cappuccio bigio, e dichiarate del b. Tommaso, come,
in teche minori, alcuni oggetti.
Nel 1960, coincidendo i restauri della gotica chiesa con le celebrazioni
centenarie della morte di Tommaso, il vescovo Domenico Valeri provvide a
nuova ricognizione per uno studio scientifico dei resti (6 lugl.-24 sett.),
e finalmente lo scheletro di alta statura, ricomposto sotto un nuovo
saio francescano, fu chiuso in un’urna di bronzo e cristalli, e
collocato provvisoriamente su una mensa laterale.
Lo stesso vescovo il 24 maggio 1968 ha istituito una Commissione di
studio che indaghi sul culto locale ab immemorabili.
Tra le testimonianze di ammirazione va ricordata la Lettera di Giovanni
XXIII al vescovo dei Marsi in data 29 agosto 1960, nella quale il papa,
terziario francescano, ricordava di avere “avuto un tocco di speciale
richiamo al pio e dotto Minorita” già nell’allocuzione del precedente
anno nell’arcibasilica Lateranense, e concludeva: “Amiamo ora
accompagnare le annunziate celebrazioni, che di lui onorano la memoria e
ripropongono a meditazione le veneranda figura e gli scritti insigni,
con la speranza e l’augurio che, per mezzo di esse, codeste care
popolazioni… sappiano altresì attingere… un rinnovato impegno
nell’esercizio di quelle esimie virtù ‘ paupertas, oboedientia, caritas
’, delle quali la vita di fra’ Tommaso da Celano offre luminoso
esempio”.
Autore: Fausta Casolini -
DAL SITO SANTI E BEATI |