L’accordo tra il papa Nicolò II e Roberto I d'Altavilla detto il Guiscardo (cioè l'astuto), stipulato nel 1059, fu fondamentale per la “riconquista “ religiosa della Calabria, operata da parte dei Normanni a danno dei possedimenti basiliani. L’intesa venne continuata da papa Alessandro II (1067) e dallo stesso Guiscardo, che intrapresero un vero e proprio smantellamento dell’impalcatura militare, politica e religiosa di Bisanzio. La nuova classe politica normanna, per fedeltà giurata alla Chiesa, costruì nuovi centri di culto, elargendo alle nuove fondazioni ogni sorta di ricchezze e privilegi, sottraendole ai centri basiliani della regione: ut de monasteriis grecorum monachorum edificaret latina monasteria.
Sul principio i Normanni non differivano dai comuni
predoni o pirati. La Valle del Crati, prima base delle
operazioni di Roberto il Guiscardo, conobbe saccheggi e
malversazioni peggio che se fosse invasa dai Saraceni.
Non furono risparmiati i monasteri, le chiese e gli
altri luoghi pii. Il clero e il monachesimo greco furono
particolarmente avversati dal Guiscardo, il quale vedeva
in essi i naturali alleati di Bisanzio. L'attenzione
maggiore dei Normanni andò alla fondazione di nuove
diocesi e di nuovi monasteri latini, capaci di
sostituirsi all'influsso esercitato fino a quel tempo
dai Bizantini, di cui il clero e i monaci erano gli
elementi più rappresentativi e influenti, per il fascino
e l'attrattiva che esercitavano sul popolo. In questo
piano politico di latinizzazione emerge la figura del
normanno Roberto di Grandmesnil, abate di
Saint-Evroult-en-Ouche (costretto all’esilio dal duca di
Normandia Guglielmo il Conquistatore) al quale il
Giuscardo, duca di Puglia e di Calabria, gli affida il
programma di ricostruzione religiosa e monastica sotto
l’egida della Chiesa romana. Il primo dei monasteri
benedettini che saranno oggetto delle attenzioni del
Grandmesnil e del suo seguito composto da undici monaci
fu quello di S. Maria , meglio
conosciuto come Sant' Eufemia , nella
Piana di S. Eufemia in località Terravecchia "Torrevecchia"
(facente parte del comune di Lamezia Terme Sud in
provincia Cz ) . Il monastero fu eretto sulle rovinedi
un antico cenobio basiliano dello stesso "S.Maria" ,
nome, distrutto dai Saraceni circa un secolo prima.
L'abbazia di Sant' Eufemia prese subito un grande
incremento. Ben presto gli undici monaci che vennero
all'inizio da S.Evroul (Francia) divennero cento.
Il Guiscardo la predilesse e vi fece seppellire sua madre Fredesenta, seconda moglie di Tancredi d'Altavilla. Ampie donazioni le furono fatte anche da Boemondo, Principe d'Antiochia, con diploma del gennaio 1123, che si conserva nell'Archivio degli Aldobrandini a Roma. Ruggero ne fu munifico benefattore non meno di Roberto. Egli dopo la conquista della Sicilia, restaurando la gararchia e il monachesimo nell'Isola, vi trasferì gli elementi migliori delle abbazie calabresi, prima fra tutte in quella di Sant' Eufemia,col quale Ruggero irrigò la Sicilia. Tra questi Gerlando, vescovo di Agrigento, Stefano di Rouen, vescovo di Mazara, Ruggero, vescovo di Siracusa e Ruggero suo successore nel 1104, Ambrogio, abate di Lipari e vescovo di Messina nel 1081, provengono tutti dalla nostra abbazia di Sant'Eufemia. Ma la figura più nota e più attiva del primo periodo normanno è senza dubbio il monaco Ansgerio, che da Sant' Eufemia passò a Catania nel 1083 a fondarvi il monastero benedettino di S. Agata e nel 1091 divenne primo vescovo latino di quella città. A Sant' Eufemia fu pure il monaco Goffredo Malaterra, che è lo storico ufficiale dei Normanni. Guglielmo, primo abate della SS. Trinità di Mileto, già ordinato in Normandia, prese l'abito monastico a S. Eufemia . Un monaco di S. Evroul fece tre viaggi in Calabria e Puglia « cum Willermo, abate S. Euphemiae, filio Unfridi de Tellolio, fere tribus annis in Calabria mansit, et inde remeans praedicti abbatis cuius ipse consobrinus erat, dono cappam ex alba purpura S. Ebruldi detulit ». Nè era questa la sola reliquia insigne che vi si conservava.
Oltre il capo della Vergine e Martire S. Eufemia, che aveva dato il nome all'Abbazia e alla località, i nostri storici ricordano altre moltissime e preziose reliquie. Così il Barrio fa menzione di un braccio di San Giovanni Battista e di una parte del braccio di S. Stefano Protomartire e di ossa di molti altri Santi ; Elia d'Amato vi aggiunse che quel braccio di S. Giovanni era precisamente quello con cui questi aveva battezzato il Salvatore nel Giordano . Un diploma di Ruggero I, noto attraverso copie risalenti al XVI e XVII sec., data la fondazione dell'abbazia di Sant'Eufemia al 1062, pochi anni dopo la conquista della Calabria.
Contro l'autenticità di questo diploma sono stati avanzati non pochi dubbi, sia perché l'intestazione porta il nome di Ruggero anziché di Roberto, col titolo di « Dux Apulise et Calabriae et Siciliae », anacronistico prima del 1084, sia perché nella datazione sono ricordati Costantino, imperatore d'Oriente, Filippo di Francia, Enrico di Sassonia e Alessandro II, Papa.I Cronisti normanni infatti attribuiscono a Roberto e non a Ruggero la fondazione dell'Abbazia.
Riportiamo tutto, meglio, la maggior parte del diploma di Roberto e faremo seguire un giusto commento dell'Ardito, il più accurato e attendibile chiosatore delle «Spigolature storiche sulla città di Nicastro». L'Ardito, anzitutto, confuta l'errore nel quale sono incorsi gli storici locali nell'attribuire a Ruggero anzicché a Roberto la donazione del feudo all'Abate di S. Eufemia. L'errore pare sia nato dal fatto che tutti hanno avuto copie estratte da quella fatta dal notar Alessandro Barbaro di Nicastro, il quale chiama, appunto, Ruggero il donatore.
Una di queste copie è quella estratta il 4 ottobre 1726 dal notaro Gennaro Caputi di Napoli, dal «Processo originale della Terra di Sambiase col Reverendo Baiulo di S. Eufemia, conservato dall'archivario D. Giuseppe De Martino, dottore in ambo le leggi e Maestro d'atti». Vediamo, invece, quale è la copia originale del diploma: la riportiamo dall'Ardito, colle parentesi, le varianti, le correzioni che l'Ardito stesso ha creduto opportune.
«In nomine Sanctae et Individuae Trinitatis, Ego Robertus, Dei Gratia Dux Apuliae et Calabriae Siciliaeque, inter alias Ecclesias, quae sunt sub Monarchia Nostra, restauro unam quon dam fundatam, sed maris habitatoribus dirutam, ad honorem Domini Nostri Iesu Cristi, ac Beatae semper Virginis Mariae Matris Eius, pro redemptione animae meae, nec non Patris mei et Matris, fratrum quoque meorum, Guglielmi Dragonii, Unfredi, Malgerii, caeterorum fratrum, sororum ac Parentuorum meorum quam mortuorum, quam vivorum, quae sita est in valle Neocastri, iuxta litus maris, quae dicitur modo Sancta Eufemia, sed antiquitus a Graecis vocabatur Panetinum, regnantibus Imperatoribus in Oriente Costantino, in Gallia Philippo, in Saxonia Henrico et Romae Papatum regente Domino Nostri Papa Alexandro, anno ab Incarnatione Domini millesimo sexagesimo secundo, inditione XII, faeio liberam et omnia quaecunque dedi, vel dabo, et ea quae fideles dabunt pro animabus suis, concedo tam libera, ut absque dominatione nullius hominis sint, sed sint in potestate Roberti Abbatis eiusdem loci cui omnia dedi. Post mortem, vel illius electionem Abbatis in Monachorum arbitrio eiusdem loci, et in requisitione eiusdem voluntatis, secundum regulam Sancti Benedicti, assenso nostro, Ego simul et haeredis mei promitto fieri. «Locum autem ipsius Monasterii vel habitationis laicorum ibidem commorantium, ita munitum, ratum, liberumque esse confirmamus, ita (ut) si aliquis fugitivus, noster inimicus, vel quilibet (quolibet) modo incontrarius captivus, aut aliqua necessitate compulsus, illius (illuc) confugerit, liberam potestatem exeundi, aut manendi gratiam in perpetuum (habeat). Sunt autem ista, quae in presenti supradictae Ecclesiae firmiter tribuo, videlicet territoria Veteris Civitatis infra duo flumina usque ad mare consistentia, portum quoque Amati fluminis, quod dividit territorium Neocastri a Maida terra, et silvam seu terram, quae est inter duo flumina. «De sinu via vadit ab ipso portu ad vadum alterius fluminis et porti Sancti Amatoris, et Portum, et totum litus maris cum omnibus redditibus exitibusque suis, et cum omnibus adiunctis silvis, a portu Amati fluminis, usque ad Sanctam Mariam de Capusa (o Ceposa), et eos villanos in territorio Neocastri cum omnibus haereditatibus suis. Guremburga (Amburga) nostra venerabilis suam partem praedictarum silvarum cum quatuor (?) eius villanis nostra firmatione donavit. «Dedi quoque Imperiale Monasterium Sancti Eliae cum villanis et omnibus pertinentibus et appendicibus suis, sicut in monumentis eiusdem Ecclesiae continentur; Quinque Monasteria praeterea cum omnibus pertinentibus suis in Pago Orietano, quorum nomina haec sunt: Monasteria Sancta Maria de Grillano, Sanctus Petrus de Episcopis, Sanctus Gregorius, Sanctus Vesenatus, Sanctus Nicolaus Iussariae, quoque cum villanis et omnibus pertinentibus et appendicibus suis, tam terrae quam mari pertinentibus eidem loco concessimus. «Sicut ipsa terra Iussaria dividitur a territorio Neocastrensi, sicut ipsa divisio per flumen, Portus sui (Fici) ascendit ad dexteram usque ad magnum lapidem, et ab ipso lapide magno transit usque ad alium grandem lapidem et inde, usque ad divisionem Marturani territorii, vadit ad Occidentalem partem per planitiem montis, usque ad petram fissam, ecc. ecc.».
Le concessioni di Roberto il Guiscardo all'Abbazia di Sant' Eufemia stabiliscono dunque:
1- che ogni cosa data da lui o dagli altri non sarà sotto il dominio di alcuno, ma in potere dell'Abate del luogo;
2- che l'elezione dell'Abate sarà fatta dai monaci;
3-che il Monastero e le abitazioni dei laici che vi dimoreranno, godranno dell'immunità, sicché ogn i«fuggitivo» avrà facoltà di rimanervi o di andarne via;
4-che i luoghi concessi comprendono: il territorio della «Vetus Civitas», tra i due fiumi (Amato e Piscirò) e il mare; la foce dell'Amato, la selva che è tra i due fiumi, tutto il lido del mare con le sue rendite, le selve dall'Amato a S. Maria di Capusa, i villani del territorio di Nicastro; la conferma della donazione di sua nipote Amburga; e poi i Monasteri di S. Elia, S. Maria di Grillano, S. Pietro dei Vescovi, S. Gregorio, S. Vesanato, S. Nicola di Gizzeria, ecc. Successivamente, anche una parte della città di Nicastro viene attribuita all'Abbazia di S. Eufemia e riscattata poi, nel 1240 da Federico II.
Ma se l'autenticità del diploma lascia perplessi, non v'è nessuna ragione per rigettarne il contenuto, il quale trova piena conferma in documenti successivi, tra cui anche l'atto di Federico II, il quale, scambiando il castello di Nicastro con il casale di Nocera; non ebbe il più lontano dubbio sulla legittimità del possesso da parte dell'Abbazia. Quello che si rileva dal tenore del diploma è l'immensa estensione dei fondi rustici, concessi al cenobio, che abbracciavano quasi tutta la Piana, compresi gli uomini, le chiese e i monasteri ivi esistenti. In tal modo la nuova fondazione diventava una potenza feudale di primo piano, che allora non aveva l'eguale in tutta la Calabria e che solo più tardi poté avere dei competitori, non meno celebri e potenti, di Bagnara, di Mileto, della Sambucina e di Corazzo.
La potenza di S. Eufemia trovò un ostacolo alla sua continua espansione verso il sud della Piana in un'altra famosa abbazia, fondata dai Normanni, detta S. Maria dei XII Apostoli a Bagnara, eretta nel 1085 da Ruggero, il quale vi introdusse « quosdam viros religiosos clericos, qui nuper a transmarinis partibus venerant causa ade. undi sepulchrum lerosolimis ». Questa comunità, detta di Canonici Regolari sotto la Regola di S. Agostino, ebbe vasti possedimenti in Calabria e in Sicilia, dove colonizzò il priorato di S. Lucia di Noto, s'insediò nella cattedrale di Cefalù ed ebbe a chiesa di S. Pietro a Palermo, detta per questo in Balnearia I contrasti tra le due abbazie incominciarono nel 1110, quando i monaci di S. Eufemia accusarono i Canonici Regolari di Bagnara di aver violato le proprie terre. La reggente Adelasia, alla quale fu presentato il ricorso mentre teneva corte in Messina, nominò una commissione per l'esame delle contestazioni. E questa, recatasi in Seminara e ascoltati i testi, diede ragione ai monaci di S. Eufemia e torto ai Canonici di Bagnara . Non per questo cessarono i motivi di contrasto. Anzi questi esplosero in maniera abbastanza violenta verso la metà del secolo, allorché i coloni di S.Eufemia invasero le terre dell'Abbazia di Bagnara, in località Sparta, sui monti di Corona, asportandone i maiali e recidendo gli alberi. Riuscito inutile l'intervento di Ugo, Conte di Catanzaro, la Corte fu costretta ad intervenire nuovamente, nominando una commissione d'inchiesta, formata da vescovi e giustizieri e presieduta dall'Arcivescovo di Reggio. E questa, nel 1168, condannò l'operato dei coloni di S. Eufemia. Il suo giudizio fu ratificato da bolla di Celestino III del 6 maggio 1192, che mise definitivamente fine ai dissensi.
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In mezzo a queste figure di monaci, che furono fra i primi a far dimora nell'Abbazia calabrese di Sant' Eufemia e lasciarono ricordo di sé nella storia delle origini della Monarchia siciliana, il nome di qualcuno suscita di più la nostra curiosità. E il benedettino Roberto di Grantmesnil, che fu proprio il primo abate della nostra Abbazia. Il suo nome come quello del suo casato non era certamente sconosciuto agli audaci cavalieri di Normandia, che egli era venuto a raggiungere nelle nostre provincie, divenute a un tratto il teatro di gesta tanto nuove per l'ambiente, quanto memorabili. Aveva tutto un passato dietro a sé, e talune vicende della sua vita l'avevano messo in vista fin da quando, abate del monastero di Sant'Ebrulfo in Normandia, s'era venuto a trovar coinvolto negli affari del suo paese. Cadetto del potente lignaggio degli Evreux, Robert Grantmesnil s'era dato alla carriera ecclesiastica meno forse per spontanea vocazione del cuore, che per tradizione di famiglia, nella quale uno zio di lui, dallo stesso nome, era stato arcivescovo di Rouen. Ad ogni modo, rampollo com'era di nobile prosapia e non senza doti di mente e di cuore, Roberto, divenuto monaco benedettino, presto venne elevato alla dignità abbaziale monastero di Sant'Ebrulfo sur Ouche, il chiostro favorito nobiltà di Normandia. Ma la vita del mondo, intessuta di fremiti e di passioni doveva allettarlo molto più della pace serena del convento, partecipando attivamente alla congiura contro Guglielmo “ il Bastardo” duca di Normandia. Costui, avute in mano le prove delle insidie che si stavano intessendo a suo danno, pigliò la via dell'Italia con le due sorelle di madre, Giuditta ed Emma, di cui la maggiore era stata promessa sposa di Ruggero. Il conte che si trovava in Sicilia a combattere contro i Trainesi appreso dell'arrivo di Giuditta corse all'incontro della fidanzata nel Vallo delle Saline, e proprio in S. Martino d'Aspromonte fu immediatamente celebrato la cerimonia religiosa del matrimonio. Poi gli sposi si recarono a Mileto, ove fecero un'entrata solenne a suon di musica, e con splendide feste solennizzarono le nozze.
Non è a ripetere con quale espansione di affetto il duca di Puglia avesse accolto l'abate Roberto, che, per dir più, gli si presentava alla testa di altri undici monaci normanni. Anzi non è improbabile ch'egli l'avesse antecedentemente invitato a venir da lui, quando a noi è noto che già un fratello dell'abate, Guglielmo di Grantmesnil, combatteva al seguito del Guiscardo. Comunque, il nostro giungeva proprio a tempo, perché da questo gli fosse affidata la direzione dell'abbazia calabrese di Sant' Eufemia, da poco ultimata. In questo suo nuovo ufficio l'abate Roberto spiegò subito uno zelo encomiabile, tanto che in breve attorno a sé «magnam multitudinem monachorum congregavit». Onde il Guiscardo, poco dopo, non poté far di meglio che sottoporre alla sua giurisdizione anche le altre due istituzioni monastiche, ch'egli aveva costituito, la Trinità di Venosa in Basilicata fondata qualche anno prima del suo arrivo (1060) e San Michele Arcangelo di Mileto consacrata il 19 dicembre 1080 . A fianco del duca di Puglia i signori normanni fecero a gara nel concedere il loro favore al nostro abate. Suo cugino, il potente Guglielmo di Montreuil, donò a lui una metà della città di Aquino, al cui possesso ardentemente aspirava l'abate Desiderio di Montecassino. Accolto freddamente dal Papa, e andati in fumo taluni suoi progetti presso il re di Francia e quello d'Inghilterra, l'abate di Grantmesnil vide fallire uno a uno tutti i piani che lo avevano indotto ad abbandonare la Calabria. Nel 1077 questi venne in Francia, ove si riconciliò con Guglielmo, re di Inghilterra. Forse lo stesso re di Francia aveva chiamato a sé l'abate di S. Eufemia, perché aveva in animo di conferirgli il vescovato di Chartres, tanto vero che si era già rivolto alla Santa Sede. Ma Gregorio VII (Ildebrando) non fu così sollecito, come potrebbe credersi a primo acchitto, ad annuire alle istanze di Filippo I. Qualche cosa era balzata all'occhio acutissimo del vigile Pontefice. V'era soprattutto un certo che di artefatto fra la petulanza del Sovrano (iterata missione) e l’ atteggiamento dell'abate, il quale, pur rimettendosi ai decreti dei sacri canoni, non si asteneva di insistere con studiata discrezione. Infatti per ben due volte egli s'era recato da Papa Gregorio: una prima allorché questi si trovava nella Lombardia (gennaioagosto 1077), una seconda volta al ritorno dalla Francia. Ed in entrambe le udienze l'abate aveva dichiarato al Pontefice che, malgrado le sollecitazioni avute dal re di Francia, egli non avrebbe accettato la diocesi di Chartres senza l'assenso della Sede Apostolica.
La sperata nomina però non venne né allora né dopo. Ci vuol poco a intuire che, se l'abate Roberto fosse stato un sacerdote conforme agli ideali che il Papa riformatore avrebbe desiderato brillassero segnatamente nei pastori di anime, senza alcun differimento egli avrebbe ottenuto il vescovato chartresino. Invece Gregorio VII scrisse a proposito al suo legato in Francia, ossia a Ugo, vescovo di Die. Nell'esporgli con chiarezza l'affare e nell'illuminarlo sul modo come le pratiche si erano fin lì svolte, gli ordinò di indagare se la elezione del Grantmesnil a vescovo di Chartres fosse stata fatta secondo le norme canoniche. Lo pregava ancora d'informarlo quali fossero verso quest'ultimo i sentimenti del clero e del popolo della diocesi. Ma essa dovette dare risultati non certamente favorevoli al nostro abate, poiché di lì a poco troviamo vescovo di Chartres, Goffredo, nipote di Eustachio, conte di Boulogne. Dissilluso, dunque, di non aver visto brillare sul suo petto l'aurea croce pastorale, Roberto di Grantmesnil era costretto a inchinarsi al Guiscardo e a ritornare nel chiostro di Sant' Eufemia, in Calabria. Adusato per natura a cercare e a subire il tormento diuturno dell'esistenza, il carattere di lui era certamente apparso come una novità nell'atmosfera religiosa delle Calabrie nel secolo XI, atmosfera pervasa di misticismo tutto orientale. Pur tuttavia nel fondo della coscienza del nostro abate dovette essere qualcosa di mal definito tra le tendenze morali della società ecclesiastica dei tempi anteriori al rinnovamento Ildebrando e quelle scaturite dalla lotta per la riforma della Chiesa Cattolica. Ad ogni modo, come strumento di risveglio nella coscienza religiosa del popolo calabrese al tramonto del suo Medio Evo barbarico, l’abate Roberto di S.Eufemia lasciò un’orma, di cui resiste tuttavia qualche traccia pur dopo un annoso volgere di secoli.
L’Abbazia venne distrutta il 27 marzo 1638 a causa di un grandissimo terremoto. Caddero tutti gli l'edifici tra cui la chiesa che era di dimensioni grandissima a forma di nave con diverse ale, che servivano come fortezza in caso di attacco nemico. Furono sepolti sotto le pietre all'incirca duecento persone. Mentre quelli che si salvarono furono una cinquantina circa, in maggior parte persone povere, in quanto si trovarono a lavoro in campagna. Furono rinvenute sotto le macerie i mobili, i parementi e le relequie dei santi. Di questo materiale, sulla base dell' inventario (Cabrei) effettuato dal Vescovo della Diocesi di Nicastro nel 1624 e quello effettuato nel 1655, non tutto era corrispondente col primo. Collocata in posizione strategica, al centro della vasta pianura lametina, in modo da tenere sotto controllo sia le vie di comunicazione verso sud che verso nord, esercitando, pertanto, un potere politico territoriale. Il monastero fu costruito impiegando materiale povero, costituito da ciottoli di fiume legati da malta resistente e qualche frammento di cotto, probabilmente di reimpiego, recuperato nelle immediate vicinanze dell’antica città di Terina. In generale, quindi, l'aspetto estetico doveva apparire alquanto severo anche se nella torre si nota la presenza di alcuni conci squadrati. Oggi i resti delle monumentali fabbriche si ergono solitari nella pianura, a poca distanza dal cosiddetto Bastione di Malta, in località Terravecchia, toponimo conferito alla zona quasi sicuramente in virtù dei resti lì presenti.
La struttura superstite di maggiore risalto è costituita da un lungo muraglione, forse pertinente alla chiesa conventuale, con una serie di monofore a tutto sesto, alternate da contrafforti; poi un altro corpo di fabbrica relativo alla parte meridionale del monastero, mentre uno spiazzo a forma di quadrilatero lascia intuire la presenza dell'antico chiostro; rimangono ancora visibili i resti del muro che proteggeva l'intero complesso, ed una torre quadrangolare sempre allo stato di rudere. La chiesa dell'abbazia doveva ricordare nel suo svolgimento planimetrico la SS. Trinità di Mileto con la quale presenta analogie anche relativamente al campanile. Gli studiosi hanno anche notato però delle differenze, ad esempio per quel che concerne l'impiego di materiale classico molto usato a Mileto e assente a Sant' Eufemia, forse perché nelle immediate vicinanze non esistevano edifici monumentali da spoliare.
Comunque le analogie tra le due realtà sono notevoli e denunciano entrambe lo stesso piano costruttivo, basato sulla conoscenza della costruzioni sacre della Normandia, ma sicuramente vi saranno state anche differenze determinate, quest'ultime, da vari fattori quali ad esempio l'area di costruzione e le relative differenti soluzioni costruttive. I monaci -costruttori di Sant'Eufemia conoscevano direttamente e piuttosto bene, per via della loro origine, disposizioni planimetriche ispirate allo schema di Cluny II che così furono traslate e diffuse in tutta la Calabria tra questi ricordiamola chiesa abbaziale di Santa Maria della Roccella, della fine dell’XI secolo, e la cattedrale di Gerace, costruita tra il 1085 e il 1110.
Notizie e Fonti bibliografiche
- F. Russo, Diocesi di Nicastro : cap., La
dominazione Normanna, pp. 82/86 ; C.A.M. Napoli
1958;
- E.Borrello, SAMBIASE: Ricerche per la
storia della città e del suo territorio. Parte IV,
cap.I° pp.195/1999,cap.IV pp.209/211. Nuova Ed.1998
-Temesa Editrice, Roma;
- P.Sposato,Archivio storico per la Calabria e la
Lucania, cap., Per la storia del brigantaggio nella
Calabria del settecento, p164; Coll. Merid.
Editrice 1967;
- Sistema Bibliotecario Vibonese, I NORMANNI. PELLEGRINI
AVVENTURIERI GUERRIERI - Architettura religiosa4